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La psicoterapia è diventata “scientifica”

In tanti abbiamo passato qualche momento buio nelle nostre vite. Forse anche tu ti sei trovato a terra in qualche momento. Sono diversi i momenti della vita che ci possono stendere con un pugno. Dall’adolescenza al liceo fino all’università. Dal primo lavoro stressante e sottopagato fino alla pensione. Passando per tutti gli eventi che ci legano agli altri che possono diventare amici o amanti e ci possono lasciare.

La terapia psicoterapeutica funziona?

Uno dei dubbi che è sempre presente in molti che sono incuriositi dalla psicoterapia è quanto funzioni. Siamo abituati ad andare in ospedale o dal dentista quando abbiamo un problema al corpo. Ma quando ci duole qualcosa che non si vede? È difficile dare fiducia a un mestiere con meno storia e meno certezze rispetto a quello del medico.

Uno dei motivi per cui sappiamo che la medicina funziona è perché dietro c’è la scienza. Ma cosa c’è dietro alla psicoterapia? Questo dipende dalla psicoterapia ma in Italia si sta diffondendo un approccio che nasce proprio dalla scienza. Si tratta infatti di una psicoterapia con meno teorie e più pratiche, che nasce dalla ricerca e misura i risultati che raggiunge. Psicoterapia Scientifica è uno dei portali di riferimento che sta diffondendo questo approccio anche in Italia.

Cos’è la psicoterapia

La parola “psicoterapia” deriva dal greco “cura dell’anima”. E’ un pratica terapeutica che nasce dalla psichiatria ma oggi si differenzia perché non usa farmaci. La psicoterapia si occupa sia della cura dei disturbi psicologici che della promozione del benessere della persona. Il suo  obiettivo sono tanto i sintomi quanto il potenziamento.

La psicoterapia utilizza il colloquio e altre tecniche a seconda dell’approccio. Di seguito vedremo i principali approcci oggi noti.

Psicoterapia: in cosa consiste?

Vi sono molti diversi tipi teorici di psicoterapia:

  • Psicoterapia psicoanalitica (o psicodinamica)
  • Psicoterapia cognitivo-comportamentale
  • Psicoterapia adleriana
  • Psicoterapia sistemico-relazionale
  • Psicoterapia psicosintetica
  • Psicoterapia ericksoniana
  • Psicoterapia funzionale
  • Psicoterapia transpersonale
  • Psicoterapia corporea
  • Psicoterapia umanistica
  • Psicoterapia della Gestalt
  • Psicoterapia bioenergetica

Per la loro diffusione oggi 1/3 degli psicologi lavorano con la terapia psicoanalitica, 1/3 con la psicoterapia cognitivo-comportamentale e tutte le restanti scuole sommate assieme rappresentano il restante 1/3.

La psicoterapia psicoanalitica

Per gli psicoterapeuti di scuola psicoanalitica, detta anche psicodinamica, il sintomo dal paziente è causato da un conflitto inconscio tra alcune componenti della psiche (io, es e super-io) che spesso culmina in una rimozione di un vissuto traumatico. In alternativa può nascere da problemi connessi allo sviluppo di alcuni aspetti psichici durante il corso dello sviluppo psicologico e sessuale. Per poter tollerare a livello emotivo le situazioni che non sa gestire, l’individuo sviluppa delle difese psicologiche. Ad esempio l’evento problematico o traumatico viene così “rimosso” da una difesa che lo rende parzialmente gestibile. In questo modo però l’evento rimane nel sistema psichico come conflitto inconscio. In tal caso il sintomo rappresenta quindi l’espressione esplicita di tale conflitto. All’interno dell’approccio psicoanalitico esistono differenti fazioni di pensiero, con differenti teorie. Negli anni sono state sviluppate inoltre forme di psicoterapia psicodinamica breve. In generale, tutte le terapie psicodinamiche dei vari orientamenti prevedono una stretta relazione tra psicoterapeuta e paziente, grazie alla quale si cerca di intepretare la causa e la formazione dei conflitti che danno origine ai sintomi. La psicoterapia psicoanalitica richiede un periodo solitamente lungo per poter lavorare in maniera efficace (da due a tre anni, con incontri regolari 1-2 volte alla settimana). Durante le sedute il clinico cercherà di favorire l’elaborazione delle cause più profonde dei conflitti, per permettere al paziente di assumere maggiore consapevolezza e ristrutturare il proprio Sé.

La psicoterapia cognitivo-comportamentale

Gli psicoterapeuti di indirizzo cognitivo-comportamentale, si basano su una tradizione di ricerca scientifica. Iniziano nel ‘900 con i primi studi di fisiologia sui riflessi condizionati e proseguono tutt’oggi con migliaia di studi sperimentali. Secondo questo approccio ciò che la psichiatria chiama “sintomo” è spesso l’espressione di un precedente apprendimento di modi di comportarsi, pensare o reagire emotivamente in modo errato o disadattivo. Questi modelli disfunzionali nascono dalle esperienze di vita dal paziente, da quando era un bambino ad oggi. Solitamente le difficoltà sono mantenute da un contesto interpersonale patogeno. Diventa importante un’analisi cognitiva delle credenze non adeguate del paziente e la loro successiva modifica. Un ruolo importante è lasciato anche all’esperienza diretta che va incentivata tra le sedute. Lo psicoterapeuta potrà anche utilizzare alcune delle numerose tecniche di questo approccio quali: tecniche di condizionamento o decondizionamento, ristrutturaziaone cognitiva, oppure aiutare il paziente ad acquisire comportamenti più complessi. Ciò si ottiene attraverso un’esperienza pratica o immaginativa pianificata, fino ad un livello di abilità sufficiente, dopo aver eseguito una valutazione cognitivo-comportamentale. Vengono così a modificarsi in modo diretto le risposte emozionali e gli schemi del paziente che risultavano disadattivi, e vengono sostituiti con nuovi schemi più funzionali, tramite esperienze (es. esposizione a stimoli prima evitati) e/o comportamenti di tipo nuovo (prescrizioni comportamentali). Un esempio è l’acquisizione di nuove abilità, come più efficaci competenze comunicative, tramite il role playing o pratica recitativa. Il terapeuta può anche usare procedure di vario tipo (anch’esse codificate e validate), dal “dialogo socratico” alla ristrutturazione cognitiva, per permettere al paziente di identificare ed esaminare criticamente e quindi cambiare sia i propri processi (e strutture) cognitivi sia i propri comportamenti non funzionali ai suoi scopi. Infine, il terapeuta può adottare specifici atteggiamenti interpersonali all’interno della relazione terapeutica, per consentire al paziente una correzione dei suoi schemi interpersonali di base. Il trattamento pertanto è costituito da procedure di tipo maieutico e psicoeducativo, mentre il cambiamento nel paziente si assume sia legato a processi di apprendimento e ristrutturazione, che avvengono a livello neurale. Una volta che il paziente si sia liberato da tutti i “sintomi” e siano stati acquisiti comportamenti alternativi, comprese le consonanti strutture cognitive, viene semplicemente eliminato il disturbo. Se il contesto ambientale è favorevole, i nuovi atteggiamenti del soggetto nonché i vantaggi dei nuovi comportamenti stabilizzeranno i cambiamenti ottenuti. Altrimenti si pianificano con il paziente delle azioni miranti a modificare il contesto ambientale, ad esempio con procedure di problem solving. I metodi della terapia cognitivo-comportamentale comprendono dozzine di procedure, ognuna studiata per particolari tipi di problemi. Il numero di tali procedure è in continua crescita, anche grazie alla ricerca scientifica. I loro fondamenti si trovano nelle teorie socio-cognitive dell’apprendimento e in modelli teorici della psicopatologia, modelli in generale passibili di verifica sperimentale. L’efficacia di tali procedure, inoltre, è stata misurata ed in generale risulta superiore ad altri metodi. La scelta e l’applicazione delle procedure richiede comunque la collaborazione del paziente, coinvolto fin nelle prime fasi della terapia. Alcune “sottoscuole” enfatizzano maggiormente gli aspetti comportamentali, altre quelli più cognitivi. In Italia, le prime appartengono prevalentemente al raggruppamento delle scuole AIAMC, le seconde a quello delle scuole SITCC.