evoluzione della stampa di foto

L’evoluzione tecnologica delle stampe fotografiche

L’evoluzione tecnologica della stampa fotografica affonda le sue radici in un tempo lontanissimo.

Da sempre, anzi, da molto prima che si iniziasse a parlare di fotografia, l’uomo ha inseguito il sogno di “fissare” un’immagine su un supporto in grado di garantirne la riproduzione fedele, ma anche, e soprattutto, duratura. Un primo tentativo di ciò può essere considerato il ritrovamento fatto anni fa in Patagonia, regione molto fredda situata nella parte meridionale dell’Argentina.

In quella che è stata denominata La Cueva de las Manos (la “Caverna delle Mani”), sulla roccia si vedono raffigurate decine e decine di mani, la riproduzione delle quali risulta essere il risultato di un primordiale, preistorico utilizzo dello stencil.

Si ipotizza, infatti, che chi ha eseguito la suggestiva sequenza di mani sulla parete di roccia (la data presunta si colloca tra i 9500/13000 anni fa) abbia seguito un procedimento presumibilmente simile al seguente.

Per prima cosa, potrebbe aver poggiato una mano sulla parete, per poi spruzzarvi sopra, e intorno (probabilmente con la bocca), un pigmento colorato; subito dopo, sollevando la mano, avrebbe lasciato impressa sulla parete il contorno della stessa. Geniale, no?

Da quel primo tentativo ai giorni nostri, i progressi tecnologici si sono susseguiti a ritmo inarrestabile. Vediamo, in breve, la loro attuazione nel tempo.

Antiche tecniche di stampa di immagini, prima delle foto

Nel corso dei secoli, prima che si arrivasse alla fotografia, molte sono state le tecniche di riproduzione delle immagini sperimentate dall’uomo. Alcune di esse, pur non essendo più adatte ad un utilizzo su larga scala, vengono ancora apprezzate per la loro resa artistica su riproduzioni singole; altre, invece, proprio per poter rispondere alle esigenze di una produzione industriale, pur mantenendo i loro principi tenici, sono state, via via, perfezionate e meccanizzate.

Vediamo le più importanti.

Xilografia: è il più antico metodo di stampa conosciuto (Cina, XI secolo). Consiste nell’incidere una tavoletta di legno con un apposito strumento, molto appuntito; la parte non incisa, quella, cioè, che rimane a rilievo, viene inchiostrata e, successivamente, pressata sulla carta (o su tessuto) da stampare. In questo modo si ottiene l’immagine perfettamente speculare a quella creata tramite l’incisione.

Calcografia: si tratta di una tecnica successiva alla xilografia (Fiandre o Germania, 180 – Firenze, 1550), con procedimento ad essa opposto; in questo caso, infatti, si incide una lastra di metallo e l’inchiostro, invece di andare sulla parte rimasta in rilievo, viene distribuito nelle parti incise e sarò la pressione esercitata, poi, dal torchio a trasferirlo sul foglio.

Litografia: è un procedimento piuttosto complesso che si basa sull’incompatibilità di alcuni tipi di inchiostro con l’acqua e dalla repulsione reciproca esistente tra sostanze grasse e acqua stessa. Il supporto sul quale si lavora é una pietra molto speciale (calcarea e porosa) che si estrae dalle cave di Solnhofen, in Baviera. Moltissimi sono gli artisti che ci hanno lasciato splendide opere realizzate con questo procedimento (Marc Chagall, Salvador Dalí, Francisco Goya, Paul Klee, Joan Miró, Pablo Picasso, Edvard Munch e Joan Mirò, tanto per citarne alcuni).

Serigrafia: questa tecnica di stampa utilizza come matrice un tessuto, ed è attraverso quest’ultimo che l’inchiostro viene trasferito sul supporto. Arrivata in Europa durante il Medioevo (proveniente dall’Estremo Oriente), inizialmente sfruttava una matrice in maglia di seta, adesso sostituita da fibre artificiali, come, ad esempio, il nylon. Attualmente la si utilizza sia in modo artigianale, sia per produzioni a carattere industriale (ad esempio, per la stampa di targhe, mobili, specchi, elettrodomestici e molto altro).

Evoluzione della stampa fotografica

Come giorno ufficiale della nascita della fotografia viene universalmente indicato il 19 agosto 1839; era un lunedì e in quella storica giornata la nuova, incredibile invenzione (la dagherrotipia) venne presentata all’Accademia delle Scienze e delle Arti Visive di Parigi.

In realtà, ben 13 anni prima Joseph Nicéphore Niépce, famoso ricercatore francese, era riuscito a scattare la prima fotografia con una camera oscura, fissando l’immagine su un supporto fisico. Si tratta di un’eliografia su lastra di stagno (ancora oggi perfettamente conservata) denominata “Vista dalla finestra a Le Gras”.

Niépce continuò, poi, i suoi studi e i suoi esperimenti per altri 4 anni al fianco di Louis Daguerre; quest’ultimo, dopo la morte prematura del suo “socio”, continuò a lavorare sul progetto iniziale riuscendo a ideare un processo di sviluppo dell’immagine molto complesso, ma sicuramente prezioso per la successiva diffusione della fotografia nel mondo intero.

Si era servito di un foglio di rame argentato (che aveva rivestito di iodio, per rendere la sua superficie sensibile alla luce); lo aveva, poi, messo in una macchina fotofrafica e lo aveva esposto alla luce per alcuni minuti. Infine, aveva messo il tutto a riposo in una soluzione di cloruro d’argento. E l’immagine era stata finalmente realizzata.

Da quel momento in poi si iniziò a cercare la maniera migliore di fissare indelebilmente (quindi, di stampare) le immagini create all’interno della camera oscura. Gli esperimenti si susseguirono nel tempo e, ad ogni nuova scoperta, il risultato visivo era sensibilmente superiore al precedente.

La sequenza temporale delle varie soluzioni di stampa, dopo il dagherrotipo è la seguente:

– calotipo: messo a punto nel 1841 da William Henry Fox Talbot, venne utilizzato insieme al dagherrotipo per una ventina di anni ed è considerato il primo esempio di negativo fotografico. Il processo di stampa avveniva su carta salata e per contatto;

– collodio umido: utilizzato, all’incirca, dal 1851 al 1880, fu messo a punto da F. Scott Archer, scultore scozzese. Aveva una buona qualità dell’immagine e scomparve con l’avvento dell’utilizzo della gelatina;

– ambrotipia: il nome deriva dal termine greco “ambros”, che significa “eterno”. Si tratta di una tecnica di stampa, inventata da J.A. Cutting, che ebbe un vasto utilizzo a partire dalla fine dell’800 fino a tutto il 900 e che si otteneva su lastre di vetro.

– ferrotipia: tecnica contemporanea dell’ambrotipia (fine 800/tutto 900), fu messa a punto dal fotografo A.A. Martin e perfezionata da Monckhoven, è una variante dell’ambrotipia, dalla quale differisce principalmente per il supporto; non più lastre di vetro, ma lastre di metallo (ferro, latta o alluminio);

– procedimento ai sali d’argento: dello stesso periodo delle precedenti, questa tecnica fu affinata dal fotografo inglese Richard Leach Maddox ed è anche nota come “Gelatina al bromuro d’argento”, o “Tecnica delle lastre secche”. Rispetto al “collodio umido” si conservava molto meglio e presentava maggiore sensibilità alla luce. Si può dire che, grazie alla sua scoperta, nel 1895 è stato inventato il cinematografo.

– stampa al carbone, o ai pigmenti: (1860-1940) sfruttava la fotochimica dei composti al cromo. Quasi contemporaneamente a questa tecnica, se ne affermarono altre due, molto simili: la “stampa alla gomma” (che sfruttava la gomma arabica) e la “stampa agli inchiostri grassi”.

– resinotipia: è considerata l’ultima delle tecniche di stampa antiche e si basa su ua determinata capacità che alcuni elementi pigmenti resinosi posseggono (quella, cioè, di aderire alla gelatina bicromata). Non se ne conoscono troppi dettagli perché il suo inventore, l’italiano Rodolfo Namias, non ne divulgò mai troppi dettagli.

Moderne Tecniche di Stampa Fotografica Digitale

Negli ultimi anni sono stati registrati progressi impressionanti nel campo dell’elettronica e della fotografia; in seguito a ciò, anche i procedimenti di stampa hanno subito considerevoli modifiche.

Vediamo i principali.

– stampa a sublimazione termica: Stampa digitale a sublimazione termica: all’interno delle stampanti di questo tipo non si trovano i serbatoi d’inchiostro, ma un nastro di plastica composto dai tre colori primari (e ciascuno di essi è in grado di rappresentare all’incirca 250 tonalità).

Quando la stampante riceve la foto, un’apposita testina disegna termicamente il soggetto sulla pellicola di plastica; questa operazione viene ripetuta per tre volte, una per il rosso, una per il giallo e una per il blu e al termine di questi tre passaggi, viene applicato superiormente uno strato protettivo in grado di preservare la foto dallo scolorimento derivante dalla sua esposizione alla luce.

Il procedimento è molto rapido; per questo motivo questa modalità di stampa viene utilizzata nelle apposite cabine pubbliche.

– stampa digitale chimica: è il procedimento più diffuso attualmente e si basa sulla fotosensibilità della carta fotografica. Quello che, in pratica, accade è che, per mezzo di un ingranditore (o di un fascio laser), viene impressa sulla carta fotosensibile la luce negativa delle foto; in questo modo, l’immagine compare in positivo. Un successivo bagno chimico avrà la funzione di fissare meglio i colori.

– stampa digitale Inkjet: è il procedimento strutturato all’interno delle stampanti casalinghe, nelle quali troviamo serbatoi per inchiostro a base di acqua e un insieme di minuscoli tubicini che hanno il compito di trasferire lo stesso inchiostro sopra una testina di stampa; è quest’ultima che, spruzzando piccolissime gocce inchiostrate, realizzerà l’immagine fotografica definitiva.

Questo processo può essere effettuato sia su carta semplice, che sulla speciale carta fotografica.